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20 Aprile 2021
Non c’è giorno che non si parli del Covid, ma del resto questa pandemia ha cambiato tutto il mondo, oltre ad aver determinato la morte di tante persone.
È di oggi la notizia che l’Australia ha sporto denuncia nei confronti della Cina perché, stando alle dichiarazioni, le autorità cinesi già da 5 anni prima dell’esplosione della pandemia, sarebbero state a conoscenza dell’elevato rischio pandemico del mercato di Huanan, nella città di Wuhan.
Il professor Eddie Holmes, biologo e virologo britannico, attualmente in servizio presso l’Università di Sidney, ha rivelato che le autorità cinesi già da diverso tempo erano a conoscenza della pericolosità del mercato, potenziale focolaio di malattie a causa della macellazione di animali selvatici, come dimostrato da numerose foto e reportage.
La rivelazione si scontra con l’ultimo rapporto ufficiale dell’OMS sulle origini del Covid, che non solo omette questo particolare, smentendo la tesi per cui il mercato sarebbe stato il punto da cui ha avuto origine la pandemia, ma affermando che nessuno dei 457 campioni biologici animali prelevati proprio in quel luogo tra gennaio e marzo 2020 sarebbe risultato positivo al Coronavirus.
Eddie Holmes ha dichiarato inoltre che sarebbero stati proprio alcuni funzionari sanitari cinesi a mostrargli il mercato di Wuhan nel 2014, presentandoglielo come luogo estremamente soggetto a favorire le trasmissioni di malattie dagli animali infetti all’uomo.
E quello che l’accademico avrebbe visto insieme ad altri scienziati, è stato veramente inquietante, con gabbie di animali (selvatici e non) impilati una sull’altra e vicini agli avventori del mercato, macellazioni cruente a cielo aperto, con gli stessi animali presi a bastonate ed eviscerati sul posto.
Uno scenario del tutto diverso rispetto a quello descritto dal dossier dell’OMS, nel quale si parla di pulizia due volte al giorno, di allontanamento di ratti e parassiti e di igienizzazioni una volta alla settimana.
A sottolineare la pericolosità del luogo anche i ricercatori cinesi, che in uno studio condotto nei primi mesi del 2020 e basato su campioni prelevati da bidoni, bancarelle e marciapiedi del mercato, avevano evidenziato, sulla base delle analisi, una contaminazione diffusa e compatibile con l’introduzione del coronavirus.
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